Arte contemporanea come crisi dei canoni estetici classici: bello, forma, equilibrio
Il Novecento ci abituati a confrontarci con opere d’arte sempre più difficilmente ascrivibili alle categorie estetiche tradizionali. Il dibattito arte non-arte si è spesso acutizzato di fronte ad alcune opere che hanno fortemente scosso i principi di bello, equilibrio, forma, armonia, etc. così rassicuranti nell’opera di riconoscimento di un opera d’arte classica. Come ha ben sintetizzato Nathalie Heinich in un suo recente testo: “Oltre a questioni estetiche di valutazione (più o meno “bello” o “ben fatto”) e di gusto (“piace” di più o di meno), il dibattito attuale implica anche questioni ontologiche o cognitive di classificazione (è o non è arte) e di integrazione/esclusione (si accetta o no una certa proposta come opera d’arte)”.
Rimanere oggettivi è sempre più difficile e, di fronte alle opere, si tende a scivolare da un giudizio da osservatore a un giudizio da valutatore (Gilbert Dispaux) liberandosi così della spinosa questione riguardante i motivi che hanno reso possibile una tale opera, sia da parte del creatore, sia dalla parte del fruitore che la accetta e la ingloba nel sistema dell’arte. Decidere che un determinato oggetto non è arte è sicuramente il metodo più sbrigativo per evitare di doverne rendere ragione. Questo è soprattutto vero per quanto riguarda l’arte contemporanea così fortemente caratterizzata da una logica trasgressiva.
Una logica che si concretizza nella sistematica confusione e commistione di generi, mezzi e sensi. Non sono solo le regole tradizionali dell’arte ad essere tradite/trasgredite ma soprattutto i quadri di riferimento interpretativo: estetico, morale, giuridico.
In pratica “l’arte contemporanea si basa sulla sperimentazione di ogni forma di rottura con ciò che precede, considerando positiva la trasgressione associata a un sovvertimento critico.”
In questo quadro trasgressivo prima le avanguardie storiche, e poi le cosiddette neo-avanguardie, si sono impegnate in un processo di azzeramento dei linguaggi. Una vera e propria decostruzione che ha mirato inesorabilmente all’esaurimento delle possibilità espressive e rappresentative insite nel linguaggio stesso. Alla fine della seconda guerra mondiale, quando le neo avanguardie riprendono la ricerca indicata dalle avanguardie storiche, emerge chiaramente che gli artisti non hanno più a disposizione nessuna struttura linguistica con cui esprimersi. La poesia tradizionale (possiamo dire lineare) è morta alla fine dell’Ottocento esplodendo in caratteri grafici s-composti nello spazio bianco della pagina. La pittura si è smembrata nelle sue componenti basilari: punto, linea, superficie, colore, gesto. Per ognuna di esse si apre una stagione di peculiare ricerca che però ben presto arriva ad esaurirne le potenzialità. La scultura è implosa nelle applicazioni tecniche ed industriali diventando design.
Lo sforzo operato dalle neo avanguardie, nell’immediato secondo dopo guerra, si sviluppò proprio nella ricerca di nuovi linguaggi possibili. È questo essenzialmente lo sforzo dell’arte, di tutta l’arte, se seguiamo l’insegnamento di Lacan. In fatti, se l’arte è un lavoro di bordatura del vuoto, questo lavoro consiste essenzialmente nel poter trovare un modo per dire, accennare, balenare, intuire ciò che costituisce questo vuoto. Vale a dire l’oggetto a, che nella teoria lacaniana sta ad indicare proprio quell’oggetto logico che permette di nominare tale vuoto e renderlo operativo.
In questo senso possiamo dire che il lavoro di bordatura del vuoto, caratteristico dell’arte, e i giri che caratterizzano un’analisi mirano allo stesso punto.
Tre nuove strategie di organizzazione
È in questo quadro di ricerca che nell’ambito artistico sono emerse essenzialmente tre linee di sviluppo. Tre possibilità di bordatura che rivelano tre strategie radicalmente diverse ma che si ricongiungono, sorprendentemente, nel risultato raggiunto.
La prima soluzione, prima anche in senso temporale, è quella che ha tentato la fondazione di un nuovo linguaggio artistico partendo dagli elementi minimi rimasti sul campo dopo la decostruzione operata dalla avanguardie storiche. Il Lettrismo, e l’immediatamente successiva Poesia Concreta, in ambito poetico, e l’Informale o l’Optical in ambito pittorico partono da un singolo elemento e cercano di ricostruire la possibilità di espressione dell’artista.
Se alla fine dell’Ottocento, con Rimbaud, il poeta aveva svelato la radicale alienazione insita nel linguaggio decretandone l’obsolescenza, e se le avanguardie storiche avevano in qualche modo cercato una loro soluzione rivolgendosi ad altri possibili linguaggi (teatrali, grafico-pittorici, musicali), i Lettristi tentano di ricostruire un possibile linguaggio a partire dall’elemento base della struttura linguistica: la lettera. Su di essa Isidore Isou tenta per tutta la vita di costruire non solo un linguaggio poetico, ma la possibilità di una evoluzione della ricerca artistica che definirà Creatique.
In ambito pittorico, invece, una volta operato il passaggio dalla rappresentazione della realtà oggettiva alla rappresentazione della realtà soggettiva (ciò che va sotto il nome di impressionismo, espressionismo, surrealismo) arrivando alla scomposizione del linguaggio pittorico nelle sue componenti minime (punto, linea, superficie, colore), a partire dagli anni Cinquanta ognuna di queste componenti verrà sviluppata nel tentativo di formulare un nuovo linguaggio comune (informale, optical, monochrome, achrome, etc).
Questa ricerca, sia in ambito poetico che pittorico, ha portato ben presto in primo piano la presenza dell’artista, dando sempre più spazio all’azione, al gesto compiuto dall’artista nell’esecuzione dell’opera. Opera che si presentava, in definitiva, come documento di una azione creativa operata dall’artista.
Un esempio illuminante credo siano i famosi tagli di Fontana.
Tali opere, al di là dell’importanza concettuale che li pongono alla fine di un ragionamento lungo svariati secoli sul come rendere la tridimensionalità su un piano bidimensionale, concretizzano in ultima analisi un gesto che l’artista ha compiuto su una tela. Un gesto che è meravigliosamente catturato nella famosissima sequenza fotografica di Ugo Mulas in cui l’azione è assolutamentee in primo piano e il quadro, l’opera d’arte, è messa sullo stesso piano della fotografia. Vale a dire che entrambe assolvono ad un compito documentativo, di testimonianza, dell’azione.
Lo stesso si può dire, ad esempio, per i documentari di Jackson Pollock al lavoro, le foto di Ludwig Hoffenreich sul lavoro di Hermann Nitsch, il famoso documentario girato da Orson Wells a Parigi contenente delle letture di Isidore Isou e Maurice Lemaître.
Una seconda linea di sviluppo è quella che pone direttamente al centro dell’operazione artistica, e della possibilità di fondazione di un nuovo linguaggio condivisibile, l’azione dell’artista. Da prima Gutai in Giappone, e poi l’Azionismo Viennese e poi ancora Fluxus, diedero inzio ad una stagio ne di sperimentazione artistica, tuttora molto vivace, caratterizzata da happening, performance, azioni, che pongono come fondante l’esperienza soggettiva. È in quest’ambito di ricerca che si consuma uno strappo definitivo con la produzione oggettuale dell’opera d’arte. Vale a dire che l’intento degli artisti attivi in questa ricerca non è teso alla produzione di un opera d’arte, di un oggetto, ma di una esperienza condivisibile. Una spinta che scava un vuoto radicale nel sistema di produzione che ha caratterizzato per secoli l’arte.
L’interessante è che anche in questo caso, ciò che supplisce alla produzione artistica, è la massiccia tendenza alla conservazione (ma anche produzione) di documenti: brochures, manifesti, inviti ed, ovviamente, fotografie e video, ma anche e soprattutto resti e scarti delle azioni, che testimoniano dell’operazione creativa operata dall’artista.
La terza via si sviluppa nella sperimentazione di nuovi linguaggi mutuandoli dall’evoluzione della tecnologia. Le prime sperimentazione in quest’ambito si possono sicuramente far risalire alle avanguardie storiche, ma è con il secondo dopo guerra che la fotografia e i video trovano una loro vera e propria collocazione nel mondo della arti. Discorso diverso per il cinema che da subito trova una sua collocazione che passa però dalla via del divertimento e delle spettacolo. Anche in questa terza soluzione, al di là dello stupore suscitato dalla tecnica sempre più raffinata, possiamo constatare che la produzione di documenti, vale a dire di supporti che testimoniano e veicolano una esperienza soggettiva, è una componente basilare della sua specificità.
In buona sostanza, tutte e tre queste strategie di ricerca, arrivano ad esaltare il valore di testimonianza insito nei documenti riferibili ad un momento di creazione artistica. In termini più strettamente psicoanalitici potremmo dire che diviene centrale il valore della testimonianza di un processo di sublimazione avvenuto.
Vale a dire che l’opera d’arte si presenta come testimonianza del mistero della creazione artistica.
È un oggetto spogliato dei suoi valori immaginari e simbolici e ridotto a puro oggetto reale. In questo senso interpreto la famosa massima di Lacan riferita all’opera d’arte come elevazione di un oggetto alla dignità della Cosa.
Un mistero al centro
Nel VII seminario Lacan sviluppa le tre possibili vie di sublimazione, sviluppandone anche le implicazioni: religione, arte e scienza. In tutte e tre il riferimento è alla possibile articolazione del vuoto, della mancanza, nelle forme dell’evitamento, della bordatura e della negazione.
Valer a dire che in tutte e tre, al centro del loro ordinamento e sviluppo, si pone un punto di impossibile, di mistero, che viene lavorato in modo differente.
Nella scienza il mistero non esiste, non può esistere, tutto deve essere spiegabile dallo sviluppo del sapere. Le teorie scientifiche, sempre più evolute e raffinate, hanno come scopo colmare ogni possibile mistero della realtà e del sapere.
La religione pone invece al centro del suo sistema il mistero e lo esalta nella forma del dogma. Ciò che non è comprensibile, inspiegabile, misterioso, è manifestazione del volere di Dio e l’uomo lo deve accettare. Non serve il sapere ma il credo.
L’arte è invece quella terza via che non vuole negare ne evitare la questione di fondo che il mistero pone, ma tenta in tutti i modi possibili di alludervi, di dirne qualcosa.
Sia l’arte, che la religione che la scienza ha i propri oggetti documento, oggetti testimonianza. Oggetti che hanno la fondamentale duplice funzione di poter essere conservati e di diffondere un sistema di sapere.
Per la scienza l’oggetto è evidentemente quello scientifico. La sperimentazione scientifica si sviluppa proprio a partire dalla possibilità di prendere la realtà come dato oggettivo e trarne le conseguenze. O l’oggetto di studio diventa una evidenza, e quindi ha valore scientifico, di testimonianza ripetibile ovunque dati gli stessi presupposti, oppure non è niente, non ha fondamento, non è un oggetto scientifico.
Per la religione l’oggetto è fondamentalmente la reliquia. Vale a dire un oggetto che testimonia della vita di Dio o di un suo profeta o di un santo. La reliquia compare in tutte le religioni ed ha contribuito in modo fondamentale alla diffusione di un determinato sistema religioso proprio grazie alla suo essere facilmente trasportabile e, se necessario, facilmente moltiplicabile (grazie alle reliquie per contatto).
Per quanto riguarda l’arte abbiamo visto che l’evoluzione impressa al suo sistema nel Novecento ha portato in primo piano l’oggetto documento. Un oggetto che anch’esso testimonia, fa riferimento, è in relazione con un momento di mistero. Ma l’oggetto documento, in particolare per quanto riguarda l’arte performativa che ha dato sempre più risalto all’oggetto scarto e all’oggetto resto, non è altro che una reliquia.
È questo un aspetto estremamente interessante che pone l’oggetto reliquia come fondante sia il sistema religioso che il sistema artistico. Ma come è avvenuto?
Qualcosa da conservare
Abbiamo visto come nel secolo scorso si sia consumato nel mondo delle arti questo passaggio radicale dalla produzione di oggetti alla produzione di concetti. Sempre più spesso, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, la produzione di un oggetto è scivolata in secondo piano rispetto alla possibilità di esporre il pubblico ad un momento creativo.
È evidente che nelle performances l’intento è quello di mettere in un contatto più stretto possibile il fruitore con un momento creativo. Esporre non più un opera d’arte ma esporre direttamente il fruitore alla creazione. In questo modo l’opera d’arte perde la sua funzione di velo, di schermo assumendo quella di testimonianza, di traccia.
Questo cambiamento di statuto è anche alla base delle manifestazioni psicotiche così evidenti in alcuni ambiti artistici dove l’artista, attraverso l’ostentazione del proprio godimento, ha assunto la funzione di martire, vale a dire di testimone.
La via della reliquia però non è la via della stigmate. Se in quest’ultima la traccia deve incidersi nel corpo, deve cioè trovare una via di iscrizione nel reale che passa per il corpo, nella reliquia tale passaggio avviene per via simbolica attraverso il processo di certificazione della reliquia stessa. In una si apre il circuito della psicosomatica, nell’altra si apre un circuito di costruzione di sapere.
In ogni caso, in entrambe le vie, vi deve essere qualcosa da conservare.
Questa spinta alla conservazione è emersa sempre più chiaramente nell’arte contemporanea in parallelo al processo prima descritto di decostruzione dei linguaggi. Lo si può chiaramente riconoscere come centrale nella poetica del Nouveau Realisme. I manifesti strappati di Rotella, le accumulazioni di Cesar, gli imballaggi di Christo rispondono alla stessa necessita’ di conservare qualcosa della realta’ circostante. Massimo esempio in questa direzione sono le table-piège di Spoerri dove dei semplici tavolini catturano, intrappolano per l’eternita’ i resti di un pasto divenendo dei quadri.
Vale a dire che man mano che si azzerava la possibilita’ di utilizzo del linguaggio come mezzo espressivo, cresceva la necessita’ di preservare, salvare un elemento della realta’ che avesse una qualche connessione con il miracolo della creazione.
Una passe per l’arte?
A questo punto è a mio avviso interessante porsi una domanda: questo processo puo’ costituire una sorta di passe del sistema delle arti? Puo’ essere messa in parallelo a tale dispositivo dove l’elemento di testimonianza è centrale? L’oggetto reliquia, presente sia nell’arte che nella religione, che permette la loro diffusione e l’organizzazione del loro sapere non ha niente a che vedere con quanto è richiesto a livello di testimonianza agli AME?