Arte in frammenti, recita il titolo della serata. Se così è, sembra che l’arte abbia ricevuto un duro colpo, tanto da ridurla in pezzi. Del resto è anche vero che per gran parte del Novecento i frammenti hanno avuto un ruolo non indifferente nel mondo dell’arte. Ad iniziare dai collages. E forse non è un caso visto che i primi artisti a decretare l’obsolescenza e inadeguatezza del proprio linguaggio ed impegnarsi in nuove sperimentazioni sono stati i poeti. Quello che è certo è che il concetto di forma, nelle sue diverse declinazioni, è stato oggetto di una insistente e metodica opera di destrutturazione. In alcuni casi di azzeramento.
Parallelamente all’azzeramento dei linguaggi dell’arte e forse in contrapposizione ad esso, alla fine dell’Ottocento si era imposto il sogno wagnariano della Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale. Sogno che prevedeva l’unione di tutte le forme d’arte in un’unica opera organica. La lirica sembrava permettere tale coesione. Musica, architettura, pittura, danza, canto, etc. confluivano e si sostenevano permettendo la realizzazione di una rappresentazione integrata di un ideale. Con riferimenti più o meno espliciti al sogno wagneriano si sono sviluppate tutte le sperimentazioni in ambito teatrale di numerosi artisti, in particolare pittori: Schlemmer, Kandijnski, Kokoshka. Famoso in questo senso è l’opera teatrale “Parade” con il testo di Cocteau, musiche di Satie e costumi e scene di Picasso.
Dopo questa stagione epica del teatro, la congiunzione delle arti è stata sperimentata anche in altri ambiti, come quello delle arti applicate e quindi le prime formulazioni del design industriale, Bauhaus in primis, oppure creando delle opere sonore o in movimento (Russolo, Calder, etc.). Si è però giunti in realtà alla constatazione dell’impossibilità di una rappresentazione unitaria. L’abbandono dell’idea romantica di un possibile superamento dell’impasse decretata dai poeti più avanzati attraverso l’unificazione delle arti, ha portato alla dissezione di ogni minima componente dei linguaggi dell’arte e all’esaltazione delle minime basi materiali.
E’ in questo quadro di ricerca che nell’ambito artistico sono emerse essenzialmente tre linee di sviluppo. Tre possibilità di bordatura che rivelano tre strategie radicalmente diverse ma che si ricongiungono, sorprendentemente, nel risultato raggiunto.
La prima soluzione, prima anche in senso temporale, è quella che ha tentato la fondazione di un nuovo linguaggio artistico partendo dagli elementi minimi rimasti sul campo dopo la decostruzione operata dalla avanguardie storiche. Il Lettrismo, e l’immediatamente successiva Poesia Concreta, in ambito poetico, e l’Informale o l’Optical in ambito pittorico partono da un singolo elemento e cercano di ricostruire la possibilità di espressione dell’artista.
Se alla fine dell’Ottocento, con Rimbaud, il poeta aveva svelato la radicale alienazione insita nel linguaggio decretandone l’obsolescenza, e se le avanguardie storiche avevano in qualche modo cercato una loro soluzione rivolgendosi ad altri possibili linguaggi (teatrali, grafico-pittorici, musicali), i Lettristi tentano di ricostruire un possibile linguaggio a partire dall’elemento base della struttura linguistica: la lettera. Su di essa Isidore Isou tenta per tutta la vita di costruire non solo un linguaggio poetico, ma la possibilità di una evoluzione della ricerca artistica che definirà Creatique.
In ambito pittorico, invece, una volta operato il passaggio dalla rappresentazione della realta’ oggettiva alla rappresentazione della realta’ soggettiva (ciò che va sotto il nome di impressionismo, espressionismo, surrealismo) si approda alla scomposizione del linguaggio pittorico nelle sue componenti minime (punto, linea, superficie, colore).
A partire dagli anni Cinquanta ognuna di queste componenti verra’ sviluppata nel tentativo di formulare un nuovo linguaggio comune (informale, optical, monochrome, achrome, etc).
Questa ricerca, sia in ambito poetico che pittorico, ha portato ben presto in primo piano la presenza dell’artista, dando sempre più spazio all’azione, al gesto compiuto dall’artista nell’esecuzione dell’opera. Opera che si presentava, in definitiva, come documentazione di una azione creativa operata dall’artista.
Un esempio illuminante credo siano i famosi tagli di Fontana.
Tali opere, al di la’ dell’importanza concettuale che li pongono alla fine di un ragionamento lungo svariati secoli sul come rendere la tridimensionalita’ su un piano bidimensionale, concretizzano in ultima analisi un gesto che l’artista ha compiuto su una tela. Un gesto che è meravigliosamente catturato nella famosissima sequenza fotografica di Ugo Mulas in cui l’azione è assolutamente in primo piano e il quadro, l’opera d’arte, è messa sullo stesso piano della fotografia. Vale a dire che entrambe assolvono ad un compito documentativo, di testimonianza, dell’azione.
Lo stesso si può dire, ad esempio, per i documentari su Jackson Pollock al lavoro, le foto di Ludwig Hoffenreich sul lavoro di Hermann Nitsch ed il famoso documentario girato da Orson Wells a Parigi contenente delle letture di Isidore Isou e Maurice Lemaître.
Una seconda linea di sviluppo è quella che pone direttamente al centro dell’operazione artistica, e della possibilita’ di fondazione di un nuovo linguaggio condivisibile, l’azione dell’artista. Da prima Gutai in Giappone, e poi l’Azionismo Viennese e poi ancora Fluxus, diedero inizio ad una stagione di sperimentazione artistica, tuttora molto vivace, caratterizzata da happening, performance, azioni, che pongono come fondante l’esperienza soggettiva. È in quest’ambito di ricerca che si consuma uno strappo definitivo con la produzione oggettuale dell’opera d’arte. Vale a dire che l’intento degli artisti attivi in questa ricerca non è teso alla produzione di un opera d’arte, di un oggetto, ma di una esperienza condivisibile. Una spinta che scava un vuoto radicale nel sistema di produzione che ha caratterizzato per secoli l’arte.
L’interessante è che anche in questo caso, ciò che supplisce alla produzione artistica, è la massiccia tendenza alla conservazione (ma anche produzione) di documenti: brochures, manifesti, inviti ed, ovviamente, fotografie e video, ma anche e soprattutto resti e scarti delle azioni, che testimoniano dell’operazione creativa operata dall’artista.
La terza via si sviluppa nella sperimentazione di nuovi linguaggi mutuandoli dall’evoluzione della tecnologia. Le prime sperimentazione in quest’ambito si possono sicuramente far risalire alle avanguardie storiche, ma è con il secondo dopo guerra che la fotografia e i video trovano una loro vera e propria collocazione nel mondo della arti. Discorso diverso per il cinema che da subito trova una sua collocazione che passa però dalla via del divertimento e delle spettacolo. Anche in questa terza soluzione, al di la’ dello stupore suscitato dalla tecnologia sempre più raffinata, possiamo constatare che la tendenza è quella della produzione di documenti, vale a dire di supporti che testimoniano e veicolano una esperienza soggettiva, è una componente basilare della sua specificita’.
In buona sostanza, tutte e tre queste strategie di ricerca, arrivano ad esaltare il valore di testimonianza insito nei documenti riferibili ad un momento di creazione artistica. In termini più strettamente psicoanalitici potremmo dire che diviene centrale il valore della testimonianza di un processo di sublimazione avvenuto. Vale a dire che l’opera d’arte si presenta come testimonianza del mistero della creazione artistica. L’opera è divenuta una pezza d’appoggio. Vale a dire che parallelamente e conseguentemente alla radicale destrutturazione, de-sacralizzazione, de-idealizzazione del sistema dell’arte operata dalla avanguardie storiche e dalle cosiddette neo-avanguardie, i documenti, i frammenti, i lacerti, i pezzi staccati, i resti, gli scarti hanno assunto un ruolo centrale assolvendo proprio alla funzione di testimonianza del fatto artistico.
In definitiva: l’attacco alla forma e la conseguente distruzione dello specchio, vale a dire distruzione della possibilita’ di rappresentazione, identificazione e reperimento ha prodotto numerosi piccoli pezzi da recuperare e valorizzare. Ma soprattutto da conservare. Possiamo dire che con la dissoluzione dell’elemento formale unitario, come ad esempio la bellezza o l’armonia, è stato ricavato dai minimi frammenti rimasti un nuovo elemento formale, grazie soprattutto al riconoscimento e la conseguente nominazione da parte dell’istituzione (sia essa galleria o museo).
Tutte e tre le vie di lavorazione del vuoto indicate da Lacan (arte, scienza e religione) hanno i propri oggetti documento, oggetti testimonianza. Oggetti che hanno la fondamentale duplice funzione di poter essere conservati e di diffondere un sistema di sapere.
Per la scienza l’oggetto è evidentemente quello scientifico. La sperimentazione scientifica si sviluppa proprio a partire dalla possibilita’ di prendere la realta’ come dato oggettivo e trarne le conseguenze. O l’oggetto di studio diventa una evidenza, e quindi ha valore scientifico, di testimonianza ripetibile ovunque dati gli stessi presupposti, oppure non è niente, non ha fondamento, non è un oggetto scientifico.
Per la religione l’oggetto è fondamentalmente la reliquia. Vale a dire un oggetto che testimonia dell’esistenza di Dio o di un suo profeta o di un santo. La reliquia compare in tutte le religioni ed ha contribuito in modo fondamentale alla diffusione di un determinato sistema religioso proprio grazie alla suo essere facilmente trasportabile e, se necessario, facilmente moltiplicabile (grazie alle reliquie per contatto).
Per quanto riguarda l’arte abbiamo visto che l’evoluzione impressa al suo sistema nel Novecento ha portato in primo piano l’oggetto documento. Un oggetto che anch’esso testimonia, fa riferimento, è in relazione con un momento di creazione, potremmo dire di sublimazione. Ma a ben vedere, l’oggetto documento, in particolare per quanto riguarda l’arte performativa che ha dato sempre più risalto all’oggetto scarto e all’oggetto resto, non è altro che una reliquia.
È questo un aspetto estremamente interessante che pone in questo periodo storico l’oggetto reliquia come fondante sia il sistema religioso che il sistema artistico. Ma come è avvenuto?
Nel secolo scorso si è consumato nel mondo delle arti un passaggio radicale dalla produzione di oggetti alla produzione di concetti. Sempre più spesso, a partire dalla seconda meta’ del secolo scorso, la produzione di un oggetto è scivolata in secondo piano rispetto alla possibilita’ di esporre il pubblico ad un momento creativo.
È evidente che nelle performances l’intento è quello di mettere in un contatto più stretto possibile il fruitore con un momento creativo. Esporre non più un opera d’arte ma esporre direttamente il fruitore alla creazione. In questo modo l’opera d’arte perde la sua funzione di velo, di schermo assumendo quella di testimonianza, di traccia, di prova.
Questo cambiamento di statuto è anche, a mio avviso, alla base delle manifestazioni psicotiche così evidenti in alcuni ambiti artistici dove l’artista, attraverso l’ostentazione del proprio godimento, ha assunto la funzione di martire, vale a dire di testimone.
La via della reliquia però non è la via della stigmate. Se in quest’ultima la traccia deve incidersi nel corpo, deve cioè trovare una via di iscrizione nel reale che passa per il corpo, nella reliquia tale passaggio avviene per via simbolica attraverso il processo di certificazione della reliquia stessa. In una si apre il circuito della psicosomatica, nell’altra si apre un circuito di costruzione di sapere.
In ogni caso, in entrambe le vie, vi deve essere qualcosa da conservare. Un pezzo della realta’, forse della verita’ se diamo valore al riferimento alla religione, deve essere staccato e valorizzato nella sua peculiarita’ a volte insignificante.
Questa spinta alla conservazione è emersa sempre più chiaramente nell’arte contemporanea in parallelo al processo prima descritto di decostruzione dei linguaggi. Lo si può chiaramente riconoscere come centrale nella poetica del Nouveau Réalisme. I manifesti strappati di Rotella, le accumulazioni di César, gli imballaggi di Christo rispondono alla stessa necessita’ di conservare qualcosa della realta’ circostante. Massimo esempio in questa direzione sono le table-piège di Spoerri dove dei semplici tavolini catturano, intrappolano per l’eternita’ i resti di un pasto divenendo dei quadri.
Vale a dire che man mano che si azzerava la possibilita’ di riferimento ad un valore simbolico unitario condiviso, cresceva la necessita’ di preservare, salvare un elemento della realta’ che avesse una qualche connessione con il miracolo della creazione. Veri e propri “Pieces of reality” come li ha magistralmente definiti Philip Corner, artista musicista Fluxus.
Lo svuotamento della struttura simbolica del sistema delle arti, una volta evidenziata la radicale alienazione che ne costituiva il nucleo, ha fatto sorgere come unica alternativa possibile quella di costruire una nuova struttura simbolica, di sapere, a partire dai frammenti rimasti. Una costruzione che ha le caratteristiche di difesa dal vuoto di rappresentazione e identificazione che caratterizza l’arte contemporanea e che palesa in modo piatto e fastidioso la componente feticista che ne sta al cuore.