La parola e’ elemento.
La parola e’ materia.
La parola e’ oggetto.
Con queste semplici affermazioni Pierre Garnier definisce un campo di azione che costituisce una svolta sostanziale nella poesia sperimentale della seconda meta’ del secolo scorso. Dopo il debutto nell’ambito della scuola di Rochefort partecipa attivamente al piu’ ampio movimento della Poesia Concreta. La sua presa di posizione espressa nel “Manifesto per una Poesia Nuova, Visiva e Fonetica” del 1963 amplifica le possibilita’ gia’ sperimentate in tale ambito di ricerca. Se la Poesia Concreta aveva portato in primo piano la parola, la singola parola, evidenziandone la concretezza, la sostanzialita’ ed aprendo la strada ad un ripensamento della poesia che ha nella riduzione e nella semplificazione le sue forze propulsive, con lo Spazialismo, fondato da Pierre e Ilse Garnier, queste possibilita’ esplodono e si irradiano nello spazio della composizione grafico-visiva che viene ad essere l’essenza stessa della poesia.
Caratteristica fondamentale dei suoi componimenti e’ la sobrieta’. Quando si legge una sua poesia ci si domanda come dei componimenti cosi’ brevi, essenziali, queste piccole cose, possano trasmettere tante emozioni e suggestioni in un gioco di corrispondenze che sembra infinito.
Il primo passo operato dalla Poesia Concreta e’ stato quello di ridurre la poesia alla potenza della singola parola. Una parola che assume su di se’ tutte le possibilita’ fino allora espresse dalla frase poetica, dal verso. La riduzione del verso e del componimento poetico alla singola parola esalta il significato del segno linguistico portando il lettore ad uno sforzo di amplificazione dei possibili sensi.
Il secondo passo e’ costituito dall’intuizione della Costellazione nella quale un insieme di parole sono legate fra loro esclusivamente dalla condivisione di uno spazio visivo. La Costellazione, per sua natura, coinvolge maggiormente il lettore che si trova ad affrontare non una sola parola ma un insieme di parole che lo inducono ad un gioco di connessioni. Una sorta di caleidoscopio linguistico in cui i significati si moltiplicano in una struttura finita.
Questi due passi, di fatto avvenuti contemporaneamente, hanno costituito un salto logico che ha radicalmente cambiato il modo di pensare e di fare poesia a partire dalla seconda meta’ del XX secolo. Pierre Garnier ritorna alla prima intuizione, in qualche modo radicalizzandone i presupposti, dimostrando che non solo la parola, la singola parola, ma ogni singola struttura linguistica, ogni singolo segno linguistico, sia esso parola o punteggiatura, puo’ ancora essere pensato e sviluppato.
E’ per compiere questo lavoro che Garnier definisce il proprio campo d’azione, in modo chiaro e perentorio, con le affermazioni contenute nel suo famoso manifesto.
La parola e’ elemento, e’ dato di fatto, punto essenziale su cui formarsi un’opinione o elaborare un giudizio. La parola e’ elemento in quanto parte che concorre a formare un tutto organico. E’ un’unita’ concreta e astratta. E’ elemento in quanto non suscettibile a decomposizione, sostanza pura, semplice.
La parola e’ materia, entita’ provvista di una propria consistenza fisica, dotata di peso, capace di adeguarsi a una forma. Materia in quanto argomento o motivo suscettibile di svolgimento.
La parola e’ oggetto in quanto entita’ fisica e spirituale, contenuto di un’esperienza o di una attivita’. La parola e’ oggetto in contrapposizione al soggetto in quanto radicalmente diversa e indipendente. In fine, come ci indica chiaramente la psicoanalisi, e’ oggetto perche’ necessaria alla soddisfazione dell’istintivita’.
La parola e’ anche e soprattutto segno, segno grafico, segno pittorico, segno astratto. Ogni parola e’ una pittura astratta, specifica Garnier. In questo modo lo spazio occupato dalle lettere e le geometrie che esse disegnano sulla superficie sono da considerare parte fondante della poesia stessa. La poesia perde, in qualche misura, di leggibilita’ nel senso letterario, diacronico, per acquistare una leggibilita’ sincronica, intuitiva, squisitamente visuale. Ed e’ proprio il gioco visivo-pittorico la radice della poesia di Garnier. Ogni suo componimento rimane, di fatto, leggibile in quanto formato dalla parola, ma e’ l’aspetto visivo, e’ il disegno che le lettere tracciano nello spazio che ne indicano un possibile senso. Senso mai chiuso e definito ma aperto e in definizione. E’ il lettore, di volta in volta, ad essere chiamato ad invischiarsi nei possibili sensi. In questo Garnier e’ estremamente esplicito. Nel suo gia’ citato “Manifesto per una Poesia Nuova, Visiva e Fonetica”, rivolgendosi direttamente ai lettori, scrive: “La nuova poesia esige la vostra collaborazione: vi prende come contenuto”. La contrapposizione o il gioco che si innesta tra la parola e il segno grafico, un semplice disegno, uno schema o una frazione matematica, esalta ancor di piu’ questo versante ampiamente sviluppato, specialmente a partire dagli anni sessanta, dal poeta francese. Il lettore non puo’ sottrarsi alla provocazione lanciata dal poeta. Deve fare uno sforzo intellettivo e vedere, prima di tutto, e poi lavorare con i significanti proposti sulla superficie grafica per svilupparne le implicazioni di senso, per azzardare ipotesi esplicative, per essere, in buona sostanza, parte attiva e fondamentale del fare poetico. Tutta la poesia sperimentale del secondo ‘900 ha richiesto questo sforzo, ma e’ con Pierre Garnier che l’implicazione del lettore diventa cifra stilistica. Da questo punto di vista la semplicita’ e la sintesi, da vero maestro, che caratterizzano ogni sua composizione catturano naturalmente il lettore fatalmente attratto dalla forza comunicativa dell’opera poetica. Lettore che deve sempre piu’ essere fruitore, cioe’ godere della poesia, e del linguaggio, come di un diritto riconosciuto. Averne cioe’ il possesso capace di appagare sul piano materiale e spirituale. Grazie a questo passaggio, automaticamente e felicemente, ci si ritrova a trastullarsi e gioire del gioco interpretativo offertoci. Per questo la poesia di Garnier e’ fresca, leggera, spassosa, divertente, mai banale. E tutto questo esalta la profondita’ e la spiritualita’ che spesso sgorga improvvisa e inattesa dai suoi componimenti e di cui ogni lettore, con un minimo di attenzione e dedizione, puo’ godere.
La chiave di volta e’ la semplicita’. Le poesie di Garnier, che pur non disdegna la sperimentazione di tutti i possibili materiali passando dalla carta, al legno, al plexiglas, sono spesso composte a penna o con dei semplici pennarelli su dei fogli bianchi. I colori usati sono quasi esclusivamente primari. Anche le forme utilizzate sono ingenue, quasi infantili se non addirittura scarne: un triangolo, un quadrato, un cerchio. Il sapiente utilizzo di questi pochi e facili componenti permette al poeta francese di sviluppare una gamma infinita di possibilita’ espressive. E’ una grande lezione di stile quella che Garnier impartisce. Non servono roboanti e straordinarie cose per comporre una poesia efficace. Al contrario, l’utilizzo di pochi elementi, la riduzione a pochi e semplici segni espressivi, perseguita con tenacia da Garnier, lo hanno portato ad imporsi a livello internazionale proprio per la semplicita’ di lettura, la sua immediata fruibilita’ senza mai andare a scapito della potenza e della profondita’ poetica espressa. Un percorso che, per alcuni aspetti, ricorda quello espresso dalla poesia haiku che trova proprio nella semplicita’, che rasenta la quotidianita’, la sua estrema forza. Non e’ un caso che uno dei piu’ importanti libri di Garnier sia intitolato Jardin Japonais (1978). Ricordiamo a questo proposito come Roland Barthes, nel suo L’Impero dei segni (1970), parli dello haiku come di una scrittura spontanea, detentrice di un doppio mito: l’uno, classico, che fa della concisione una prova d’arte; l’altro, tipicamente romantico, che attribuisce all’improvvisazione una sorta di privilegio di verita’. Per queste sue peculiarita’ linguistiche di dire “nulla” ma di essere in grado di liberare simboli o metafore, lo haiku e la poesia di Garnier sono molto simili. In effetti, la semplicita’ della poesia di Garnier ha molto a che vedere con la meditazione tipica del buddismo Zen che si ha modo di incontrare nei giardini secchi e nella poesia haiuku. I pochi segni, il quasi-niente, che spesso ci si trova a contemplare nella sua poesia, trasportano il lettore a una sorta di stato di reverie, di meditazione, che trascende ogni possibile approccio logico. E’ l’intuizione che guida la gioiosa lettura della poesia di Garnier. Non e’ una poesia di speculazione razionale. Al contrario e’ una poesia di illuminazione. Del resto, anche in questo caso, Garnier e’ stato estremamente chiaro gia’ nella redazione del suo gia’ citato Manifesto per una Poesia Nuova, Visiva e Fonetica: “La parola come luce illumina l’intero corpo dell’uomo. L’intero corpo dell’universo”.
E’ necessario lasciarsi andare a questo stato trasognato per percepire a fondo la poesia di Garnier. In qualche modo, ognuno nel proprio, ci si deve abbandonare, fare spazio, lasciare che si crei uno spazio vuoto, integro, privo di strutture esegetiche precostituite, in modo che le suggestioni possano sgorgare pure e cristalline. Solo allora l’illuminazione si puo’ irradiare. Solo se la mente del lettore accetta di sospendere le proprie statiche e consolidate facolta’ di comprensione può accedere alla novita’, alla sorpresa. Certo non e’ una cosa semplice. La semplicita’ costitutiva della poesia di Garnier esige dal lettore un difficilissimo compito. Sappiamo bene, in fatti, quanto sia arduo abbandonare i propri modi di pensare e di vedere le cose. Ma e’ esattamente questo compito che siamo chiamati a compiere. Scrive Pierre Garnier in un testo redatto con la compagna Ilse:”Quello che io creo dividendo la parola con una barra e’ una specie di lettura libera che non e’ piu’ preliminarmente determinata da un apprendistato; ma resta una ricerca che esige che il lettore legga non la scrittura ma nella lingua” (Pour une approche de la poesie spatiale – 1978). Ancora una volta le intenzioni e la ricerca espressa dal poeta francese sono dichiarate in modo esplicito.