Opere di Ilse e Pierre Garnier sono presenti in Italia in tutte le più importanti collezioni e i più importanti archivi di Poesia Concreta, Visiva e Sonora, come ad esempio l’Archivio Luciano Caruso, di Firenze, la Collezione Palli di Prato, la Collezione Berardelli di Brescia, la Collezione Verzeletti di Brescia, la Collezione Parise di Verona, La Collezione ed ovviamente la Collezione Bonotto di Vicenza di cui sono direttore.
Oltre alle opere sono reperibili anche numerosi documenti, in particolare all’archivio del MART di Rovereto grazie alla collocazione presso questo museo dei fondi Stelio Maria Martini, Betty Danon, Mirella Bentivoglio, Tullia Denza, Fraccaro-Carrega, l’Archivio di Nuova Scrittura di Paolo Della Grazia e la Collezione Gianfranco Bellora.
I primi lavori di Pierre Garnier ad essere pubblicati in Italia sono quelli apparsi in “Linea Sud” no. 6, del 1966, e nella rivista “Modulo”, sempre del 1966.
Nonostante queste riviste erano rivolte ad un pubblico di settore, i lavori pubblicati sono stati visti presumibilmente anche da un pubblico più amplio.
“Linea Sud”, in particolare, era una rivista pubblicata a Napoli e curata da Luca (Luigi Castellano), Stelio Maria Martitni, Mario Diacono, Luciano Caruso ed Enrico Bugli; che pur essendo ascrivibile alle riviste d’avanguardia, ha avuto una diffusione molto trasversale affermandosi come una delle riviste più interessanti del periodo.
“Modulo” è invece la rivista pubblicata a Torino ad opera di Arrigo Lora Totino. Della rivista uscì solo questo primo numero, divenendo di fatto la prima antologia di poesia concreta pubblicata in Italia, peraltro anticipando di un anno l’antologia di Emmett Williams pubblicata dalla Something Else Press di Dick Higgins, ed ebbe anch’essa una discreta diffusione.
Nella corrispondenza di Stelio Maria Martini (Fondo Martini al MART) e di Arrigo Lora Totino (in parte in deposito alla Fondazione Bonotto) sono reperibili gli scambi epistolari avvenuti tra i poeti in vista delle due pubblicazioni.
Nel fondo Martini, oltre alle lettere di complimenti per l’idea di dedicare il numero sei della rivista alla ricerche verbovisive, sono conservati anche degli originali delle opere pubblicate con le indicazione autografe di Garnier per la stampa. Le annotazioni riguardano essenzialmente la spaziatura e il posizionamento nel corpo della pagina dell’opera dattiloscritta inviata.
Tutta la corrispondenza risale alla fine del 1965 inizio 1966.
Una copia dei “Poemes Mécaniques”, dedicata a Lora Totino, presente nel suo archivio è invece della primavera del 1965 e fa presumere che i contatti tra i due poeti fossero in corso da alcuni mesi e quindi già nel 1964.
Non ho avuto modo di vedere altri epistolari e quindi non è certo se Martini e Lora Totino siano stati i primi poeti italiani a prendere contato con i Garnier.
Del resto sono documenti risalenti al periodo d’oro della esoeditoria italiana, in realtà il fenomeno dell’esoeditoria era transnazionale e coinvolgeva tutti i continenti… comunque si tratta di un periodo che ha visto la nascita di numerose riviste d’artista, create proprio grazie alla rete di contatti epistolari esistenti tra gli artisti all’epoca, rete che, a mia conoscenza, non è ancora stata pienamente ricostruita e studiata.
Ciò che è certo è che era un periodo di enorme fermento, con la nascita di numerose nuove ricerche estetiche come la Poesia Visiva in Italia.
Ciò che è interessante sottolineare è che lo scambio epistolare e la pubblicazione dei testi di Garnier avviene solo pochi anni dopo la pubblicazione su “Les lettres” del “Manifeste pour une poésie nouvelle, visuelle et phonique”. Manifesto evidentemente conosciuto subito in Italia, almeno dai poeti che stavano sviluppando una ricerca molto vicina a quella di Garnier.
Le opere di Ilse e Pierre Garnier furono esposte per la prima volta in Italia nella mostra “Esposizione Internazionale di poesia Sperimentale”, curata da Arrigo Lora Totino, Adriano Spatola e Franco Verdi nel maggio 1967 a Castelfranco Veneto e in “Segni nello Spazio” organizzata nel luglio dello stesso anno a Trieste da Verdi, Spatola, Marcello Mascherini e Flavia Paulon .
Queste sono, a tutti gli effetti, le prime mostre internazionali di Poesia Concreta e Visiva organizzate in Italia.
L’opera dei Garnier entra quindi da subito nel circuito editoriale ed espositivo delle ricerche verbovisive italiane divenendo un punto di riferimento e di confronto imprescindibile, amplificato dalla successiva attività editoriale ed espositiva della coppia Sarenco – Paul De Vree ad iniziare dai primi anni Settanta.
Tutta questa lunga premessa serve solo a dire che nelle collezioni italiane è possibile reperire opere che testimoniano tutto il percorso creativo sviluppato dai Garnier durante la loro vita. Dalle opere risalenti ai primi anni Sessanta, come “Rêve D’Othon III”, “Visite À Charlemagne En Son Tombeau D’Aix” e “Les Insignes de l’Empire”, tutte e tre del 1964 (Collezione Bonotto) fino alle ultime opere dell’inizio del nuovo millennio.
Vorrei quindi, più che passare in rassegna tutte le opere presenti, soffermarmi su alcune rarità. Due in particolare.
Nel fondo Denza, conservato al MART, segnalo la presenza di 44 bobine di nastri magnetici, tutti precedenti il 1972, contenenti oltre un centinaio di tracce audio. Si tratta di una straordinaria raccolta di Poesia Sonora internazionale, raccolta da Sarenco e da lui denominata Archivio Internazionale di Poesia Sonora (A.I.P.S.)
Tra di essi anche 4 bobine contenenti delle registrazioni di alcuni poemi sonori di ilse e Pierre Garnier e Seiichi Nikuni.
Non mi è stato possibile, perché non ancora digitalizzati, costatare se quest’ultime registrazioni siano fatte da entrambi i poeti o dal solo Garnier. Ciò che è certo è che tale materiale non è mai stato pubblicato integralmente in Europa. Solo tre registrazioni compaiono nel libro dedicato alla Collezione Denza edito dal Mart ed esattamente: “Anthropologie” del 1965, “La mer” e “Climats” del 1966.
Tale materiale fa parte, come dicevo, dell’Archivio Denza, il primo importante archivio messo assieme da Sarenco all’inizio degli anni Settanta e che conserva moltissimo materiale inerente le edizioni Amodulo (fondate all’epoca da Sarenco). Tra di esso anche questi nastri che sono conservati nelle loro originale custodie in cartone e su cui, nell’inconfondibile scrittura di Sarenco, sono riportati tutti i dati essenziali.
Sul primo nastro sono annotati solo i nomi di Ilse e Pierre Garnier.
Il secondo contine:
“Soufle – Manifeste” di Pierre Garnier del 1963
“Mots vivants”; “Spaziale” e “Les conconnes”, senza indicazione di data sempre di Pierre.
“Thalalta”, anch’esso non datato di Ilse Garnier
E “French-Japanese poems” di Pierre Garnier e Seiichi Nikuni
Il terzo nastro contiene:
“Thalalta – Wadatsami” di Ilse Garnier e Seiichi Nikuni
Ed altre 4 registrazioni di Nikuni
Il quarto: le tre registrazioni di Pierre Garnier e Nikuni già citate e “Des lèvres et des jalousies” di Nikuni del 1970.
I nastri vennero utilizzati come appendice sonora alle mostre organizzate da Sarenco tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del 1970 e dovevano essere pubblicati nella collana di audiocassette dedicate alla Poesia Sonora che il poeta bresciano inizio ad editare nel 1970.
Tale Collana, per inciso, costituisce il primo esempio italiano di pubblicazioni dedicate alla poesia sonora in formato audio. “Baobab”, la rivista in audiocassette di Adriano Spatola è, in fatti, del 1978 come “Futura. Poesia Sonora”, l’antologia in sette dischi curata da Lora Totino per la Cramps Record.
Le registrazioni sono state realizzate dai Garnier e Nikuni contestualmente alla composizione dei testi fonetici e si tratta quindi delle prime loro sperimentazioni. Sono documenti estremamente importanti ed interessanti, soprattutto considerando l’esiguo numero di documenti sonori dei Garnier pubblicati.
Questi nastri dimostrano il grande interesse riscontrato in Italia dal lavoro dei Garnier e, soprattutto, che non erano conosciute solo le ricerche concrete e spaziali, ma anche le ricerche sonore e fonetiche.
L’altro documento su cui vorrei attirare la vostra attenzione è conservato nella collezione di Giuseppe Verzeletti. Si tratta di un manoscritto, scritto tra il 1 e il 21 novembre 1991 durante un soggiorno a casa di Sarenco a Malindi, Kenya
Il manoscritto è diviso in tre parti.
La prima parte, 30 pagine, è composta da 122 composizioni e porta il titolo “Malindi, une chronique. 1ère partie”
La seconda parte, 23 pagine, è composta di 53 composizioni (15 pagine) con il titolo di “Malindi, une chronique. 2ème partie”
La terza parte, 8 pagine, è costituita da uno scritto di recensione del libro di poesie di Sarenco “Malindi 1988-1991”.
Le 61 pagine, di diverso colore sono riunite a formare un block notes.
Le 175 composizioni del “Chronique” sono numerate progressivamente.
Si tratta di brevi frasi (da una fino ad un massimo di 8 righe) scritte prevalentemente in francese, ma anche in inglese e tedesco, che alternano rapide descrizioni di avvenimenti a vere e proprie illuminazioni poetiche.
Ad esempio.
NO 5
Pour déjeuner il y avait des steaks de requin: chair suave pour un vorace.
La chair de l’homme doit etre alors beaucoup plus suave.
NO. 17
Les arbres eux-meme ici
Sont des bombes atomiques –
Ils exploseront
NO. 40
Elephant and poet – now dead –
Come back to the origin –
It’s now their only journey.
NO. 55
Il a plu cette nuit à l’équatorielle.
C’est lourd et chaud.
Mais ce matin le paysage a regagné sa torpeur
Et les fleurs et les arbres ont
Repris leur immobilité de fleurs
Et d’arbres artificiels.
Il testo di recensione delle poesie di Sarenco che completa il manoscritto offre, a mio avviso, anche una chiave di lettura rispetto alla serie di componimenti che costituiscono il “Chronique”.
Il testo si apre con questa dichiarazione:
“Quand on arrive au Kenya, on est stupefait: l’intellect tombe. On sait aussitot qu’une question comme: Où est le ciel? Où est la mer? est idiote. Personne ne comprend: il apparait qu’ici les choses sont à peine nommées, je veux dire que la part intellectuelle, l’abstraction, tombe. En premier l’abstraction litteraire.”
Dichiarazione che sviluppa e chiarisce alcuni componimenti presenti nel “Chronique” come ad esempio il NO. 31
Où est la mer?
Où est le ciel?
Demandez le ici:
personne ne répondra.
Personne ne le sait.
Questions idiotes.
Demandez donc à l’homme blanc:
Où est la Terre?
O ancora il NO. 67
Je demande:
où est la chèvre? Où sont les oiseax ?
Où sont les hommes ?
Personne ne comprend, personne ne répond
- mais chacun sait qui il est –
- peut etre où il est –
La questione è rilevante in quanto strettamente legata alla poetica della poesia concreta ed in particolare della poesia concreta sviluppata da Garnier a partire dalla sua dichiarazione contenuta nel suo “Manifeste pour une Poésie Nouvelle, Visuelle, Phonetique”:
La parola è elemento.
La parola è materia.
La parola è oggetto.
L’intento di abbattere ogni intellettualismo e di promuovere una parola che condivida con la realtà fisica dell’uomo degli aspetti oggettivi, concreti appunto, è sempre fonte di meditazione per il poeta francese ed è esattamente l’elemento che mette in evidenza nella recensione delle poesie di Sarenco.
Pierre Granier elogia infatti in questo testo la semplicità e immediatezza dei testi di Sarenco.
Cito:
“Donc ni intellectualisme, ni métaphisique. Sarenco dit les choses simplement, … , il emploie la langue quotidienne pour des événements quotidiens, pour des déclarations, pour des descriptions…”
Garnier ritrova quindi in Sarenco una tensione poetica che va nella sua stessa direzione, la stessa “concretezza”.
Vale a dire dei componimenti focalizzati su un semplice pensiero o un semplice avvenimento per volta, sviluppato in modo semplice e diretto.
Il “Chronique”, se riletto quindi alla luce di questo testo finale, assume tutt’altra valenza ed importanza.
Da semplice testo poetico occasionale, di circostanza, nato come gesto di amicizia in cambio dell’ospitalità ricevuta, il “Chronique” diviene una acuta meditazione in poesia sulla poesia concreta e sui risultati raggiunti nel tentativo di abbattimento dello iato esistente tra la parola e la realtà.
Sappiamo che la parola determina l’essenza dell’uomo ma inesorabilmente lo aliena.
È la lezione Freudiana alla luce dell’insegnamento di Lacan.
È il famoso parlessere, come l’ha definito Lacan. Questo strano animale che ha facoltà di parola. È quindi libero di parlare? Certo può starsene anche muto, ma ciò non toglie che sia comunque a bagno nel linguaggio. L’uomo, in quanto parlesere, è a bagno in quell’universo simbolico che lo determina. Esso non può sottrarsi alla parola, al linguaggio. Non è quindi né libero di parlare, né libero di tacere (dato che anche il suo silenzio è parola, come bene indicava Eugenio Miccini in molte sue opere) ma bensì condizionato, influenzato, ordinato dal linguaggio.
Ora, nella poesia sviluppata da Garnier in questo “Chronique”, l’Africa emerge come un luogo mitico dove il linguaggio e la realtà sono tutt’uno.
Fine degli intellettualismi.
Fine della metafisica.
L’Africa è il paradiso perduto della Poesia Concreta.
Forse per questo, come scrive Garnier nel suo componimento NO.132
L’Afrique est le seul continent qui semble planer.