Intermedia

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Flash Art no. 32 vol. 52

Dicembre /Febbraio 2019/2020

Nel febbraio del 1966, Dick Higgins nel primo numero di Something Else Newsletter, pubblica un testo dal titolo: Intermedia.
Il concetto, che Higgins aveva già utilizzato a partire dal 1962, trova in questa pubblicazione una sua prima chiara formulazione teorica.
Nel giro di pochi anni il termine intermedia verrà utilizzato e rilanciato da numerosi critici e numerosi artisti. Solo per citare alcuni italiani, ricordiamo: Gillo Dorfles, che l’utilizzerà nel suo “Ultime tendenze nell’arte d’oggi” (seconda edizione 1973), e Adriano Spatola, che lo impiega nel suo “Verso la Poesia Totale” (1969), saggio fondamentale per una lettura della poesia sperimentale del Novecento.
In breve tempo diverrà uno dei concetti chiave per un approccio critico-storico all’arte del XX secolo, a partire dalle avanguardie storiche che Higgins stesso indicava come le “fasi iniziali” di questo movimento di rinnovamento.

Il concetto in sé si presenta come la possibilità di nominare degli oggetti che, fino a quel momento, sfuggivano ad una precisa classificazione. Si presenta quindi come un termine descrittivo e non prescrittivo, come afferma lo stesso Higgins nel suo testo.
Un termine utile a definire quegli oggetti che “cadono tra norme stabilite” (falls between established norms, si legge nel testo originale) in cui l’utilizzo del verbo “cadere” sembra indicare più un incidente di cammino, che una volontà di esistere. Oggetti che si realizzano incidentalmente, quindi, potremmo dire loro malgrado. Ma non per caso (su questo l’autore americano è chiarissimo) bensì a causa di qualcosa che ne provoca la caduta: un ostacolo o, meglio ancora, una spinta.
Ebbene, la forza che esercita questa fondamentale pressione individuata da Higgins è il cambiamento radicale della società avvenuto all’inizio del XX secolo con la dissoluzione della divisione in classi sociali, care all’aristocrazia, in particolare in seguito alla disgregazione degli imperi secolari conseguentemente alla Prima Guerra Mondiale.
Un cambiamento che si può sintetizzare nel passaggio dalla categoria alla continuita’ e che, di fatto, rende obsoleti i linguaggi artistici storici consolidati. In buona sostanza: il mondo è cambiato e le arti di conseguenza.

In questi termini il concetto di Intermedia acquista una nuova valenza, svincolandosi dalla semplice descrizione formale dell’opera d’arte.
Sebbene inizialmente sia stato utilizzato e introdotto proprio per avere degli strumenti di accesso e descrizione delle opere d’arte che negli anni Sessanta combinavano più media, in realtà, già nell’articolo del 1966, Higgins s’interroga sulla portata di questo cambiamento paragonandolo al Rinascimento. Vale a dire a un cambiamento epocale, di prospettiva culturale e sociale.
Seguendo questo ragionamento, il termine Intermedia nominerebbe un periodo storico, al cui interno sono riconoscibili numerose correnti: quella dell’Environment, quella dell’Happening, della Video arte, della Poesia visiva, dell’Arte relazionale, della Culture jamming, etc., vale a dire tutte quelle tendenza che esprimono un’attitudine a miscelare, fondere codici espressivi eterodossi in un’unica struttura inscindibile.

“Ancora una volta, il termine non è prescrittivo; non elogia se stesso e non presenta un modello per fare nuove o grandi opere. Dice solo che esistono opere Intermedia. La mancata comprensione di ciò porterebbe erroneamente a pensare che gli intermedia siano necessariamente datati per loro stessa natura, qualcosa di radicato negli anni ’60, come un movimento artistico del periodo. Non c’era e non poteva esserci un movimento intermedia. L’intermedia è sempre stata una possibilità fin dai tempi più antichi (…) rimane una possibilità ovunque esista il desiderio di fondere due o più media esistenti. ” (Dick Higgins, Intermedia, Something Else Newsletter No. 1, 1966).

La intermedialità è quindi sempre stata una possibilità o, forse, un’aspirazione.
Pensiamo, ad esempio, all’importanza e l’influenza del concetto di Gesamtkunstwerk in Wagner. L’ideale di un teatro in cui convergono musica, drammaturgia, coreutica, poesia, arti figurative, al fine di realizzare una perfetta sintesi delle diverse arti, ha affascinato tutte le avanguardie storiche (ricordiamo qui “Parade” con musiche di Erik Satie, testi di Jean Cocteau e scenografie e costumi di Pablo Picasso) e ha impresso una potente spinta alle sperimentazioni della seconda parte del XX secolo, dal famoso “Theatre Pièce # 1”, che vide la collaborazione di John Cage, Merce Cunningham e Robert Rauschenberg, passando per le esperienze del Living Theatre, Bred & Puppet Theatre, Magazzini Criminali, Fura del Baus etc.

Non è un caso che la parte centrale del saggio Higginsiano sia dedicata proprio al teatro.
Infatti, oltre a questa vocazione intermedia, sinestetica, alla con-fusione dei media, il teatro presenta uno sfondamento fondamentale verso la vita.
Le opere quindi non solo “cadono” tra i media, anche tra quelli mai utilizzati fino a quel momento per fini artistici, ma anche tra arte e vita, in una zona esperienziale inedita che continua ad avere profonde conseguenze nell’arte contemporanea e che marca il passaggio da un’arte “esposta”, da ammirare e contemplare, ad un’arte “a cui si è esposti”, da esperire e vivere.
Un passaggio fondamentale per l’arte che, in questo modo, taglia definitivamente ogni rapporto con la rappresentazione della realtà o dell’ideale.
Come scrisse Piero Manzoni già nel 1960 con il suo consueto acume: “Alludere, esprimere, rappresentare, sono oggi problemi inesistenti (e di questo ho già scritto alcuni anni fa) sia che si tratti di rappresentazioni di un oggetto, di un fatto, di un’idea, di un fenomeno dinamico o no; un quadro vale solo in quanto essere totale”, per arrivare alla lapidaria e famosissima conseguenza: “Non c’è nulla da dire, c’è solo da essere, c’è solo da vivere”. (Piero Manzoni, Libera dimensione, Azimuth No. 2, 1960).

Ovviamente questa affermazione rientra nella speculazione sulla pittura sviluppata dall’artista lombardo, quindi il riferimento qui è al quadro. Tuttavia possiamo qui allargare il concetto e intendere, in modo più generale: opera, qualsiasi opera e in particolare le opere Intermedia, abbracciando così ogni espressione oggettuale e non oggettuale, performativa o concettuale e soprattutto tutto ciò che non è ancora stato sperimentato.
Come giustamente sottolineava Adriano Spatola, “il messaggio degli intermedia non è una struttura chiusa ma caratterizzato da un codice momentaneo, flessibile, adattabile alle circostanze, modellabile all’ambiente e sul pubblico, spesso anzi condizionato in misura determinante da fattori esterni. Un discorso dello stesso genere è da farsi per i materiali usati, la cui catalogazione risulterebbe impossibile, vista la mancanza di qualsiasi limitazione”. (Adriano Spatola, Geiger No. 5, 1972).
Si tratta quindi, ancora una volta, di una possibilità in fieri, non di qualcosa di consolidato e definito.
La famosa Intermedia Chart del 1995, conosciuta anche come Molvena Chart perché realizzata da Higgins per l’amico Luigi Bonotto mentre era ospite a casa sua, mostra cerchi concentrici e sovrapposti che sembrano espandersi e contrarsi in relazione alla struttura Intermedia che li comprende. Si tratta quindi di una struttura aperta che invita al gioco. I suoi cerchi si muovono liberamente nello spazio invece di essere storicamente inquadrati nel quadro lineare e specializzato dell’arte / anti-arte delle cronologie tipiche dell’arte moderna e d’avanguardia.

Questo non significa che l’utilizzo di più media, o di nuovi media, sia di per sé un valore. Non dobbiamo cadere nella fascinazione della nuova tecnica, conseguenza del Discorso del Capitalista e ahimé così dominante oggigiorno.
L’impiego di più media, o di nuovi media, che spesso scade nel puro e semplice sensazionalismo, deve rispondere ad una necessità interna all’opera quale superamento di un ostacolo espressivo.
Per spiegarmi farò riferimento alla poesia sperimentale, mio campo prediletto di ricerca.

Se consideriamo che tutta la poesia sperimentale del Novecento, dalla Poesia Concreta alla Poesia Visiva, dalla Poesia Sonora alla Poesia Digitale, si dipana come una forte rielaborazione delle possibilità espressive offerte dal linguaggio, appare chiaro come questa rielaborazione non possa che sfociare nella necessità di innestarvi altre esperienze espressive: la pittura, la dimensione sonora, il cinema, fino ad arrivare al gesto, nel tentativo di creare una nuova forma di linguaggio universale.
Questa “confusione dei linguaggi” o, con una suggestione biblica: “nuova babele”, non caratterizza solo la poesia sperimentale ma tutta l’arte contemporanea, ed è, come abbiamo visto, alla base del concetto di Intermedia.
Possiamo tranquillamente affermare che la spinta che ha sostenuto gran parte dell’evoluzione dell’arte, in particolare a partire dall’inizio del secolo scorso, sia stata proprio quella di superare i limiti imposti alla ricerca estetica dal sistema delle arti e dalla rappresentazione. Un lavoro di ricerca consumato nello sforzo di rendere possibile, nell’opera d’arte, un incontro con quello che Lacan definiva Reale. Possiamo spingerci oltre e affermare che il desiderio che ha caratterizzato l’arte nel secolo scorso è rendere possibile quest’appuntamento.

Tornando alla poesia, l’esigenza di ripensamento del linguaggio ha aperto alla possibilità di un incontro con il Reale e, contemporaneamente, l’esigenza di un incontro con quest’ultimo ha forzato la parola, il linguaggio, nella possibilità di dirlo, questo Reale. Questa è sostanzialmente l’essenza del discorso poetico. Poiché è proprio quando la lingua non può dire qualcosa, che la si forza, la si violenta, che la si costringe a dire. Si inventano favole, modi di dire, storie, poesie.
Allo stesso modo, proprio quando il medium prediletto da un artista non è più in grado di esprimere, o più semplicemente rendere conto, l’avanzamento poetico dello stesso, ecco che lo si forza, lo si violenta. E s’inventano nuove soluzioni, nuove possibilità. Come non leggere in questi termini il resoconto dell’evoluzione di Kaprow, dal collage all’happening, delineato da Higgins nel suo saggio?

Per la prima volta il medium è stato avvertito come ostacolo e non come strumento utile. Se, sostanzialmente fino al XIX secolo, l’uomo era radicato in un sistema compartimentale come quello delle classi sociali e della conseguente tassonomia scientifica, artistica, filosofica e via dicendo, era perché ciò donava un senso alla realtà e ne regolava il godimento. Era un sistema di significazione chiaro, condiviso ed utile nella gestione del godimento. Ogni suo strumento, più o meno raffinato, rispondeva a questo produttivo compito di mascherarne l’impossibilità. Con il XX secolo, e ancora di più con il XXI e l’affacciarsi di quella che Zygmut Bauman ha definito società liquida, il sistema di significato non è stato più in grado di sostenere questo compito e i suoi strumenti hanno rivelato la loro inadeguatezza nella gestione del Reale del godimento.
Quindi, se fino al XIX secolo la conoscenza profonda del medium scelto: pittura, scultura, etc., e la sicura padronanza di tutte le tecniche che ne costituiscono il sapere pratico, determinava la capacità e il valore dell’artista, permettendogli di costruire delle opere ricche di significato, accettato e condiviso da un intero sistema sociale; con il XX secolo, al contrario, è esattamente lo svelamento dei limiti di queste tecniche, e di conseguenza dei medium, a divenire un valore.
La moltiplicazione dei medium e la nascita degli Intermedia, risponde a questo sfaldamento, proponendo sperimentazioni e valori particolari che fanno riferimento a gruppi ristretti di operatori e fruitori. Un processo che non accenna a fermarsi ma, al contrario, a moltiplicarsi proprio grazie al progressivo sviluppo delle tecnologie che lo ha innescato.

Patrizio Peterlini
Novembre 2019