L’interrogativo proposto come tema della serata parte da una constatazione. Le trasformazioni dell’immaginario contemporaneo producono mutamenti profondi nel nostro modo di sentire, desiderare e godere. Questo assunto ha una ricaduta sull’estetica che ne e’ radicalmente interrogata nelle sue categorie e nei suoi oggetti.
Ho pensato di verificare con un esempio concreto questo mutamento.
Ho quindi scelto un fenomeno estetico contemporaneo che in qualche modo crea problema. La domanda e’ sempre la solita: e’ arte? e’ furbizia? e’ sterile provocazione?
Ho cosi’ pensato a Maurizio Cattelan. Questo perche’ qualsiasi cosa produca l’artista padovano si trasforma in un caso. E’ talmente vero che s’inizia anche a dubitare della validita’ di tali eclatanti operazioni. Un conto era la provocazione, quando Cattelan era agli inizi della sua fulminante carriera, che aveva a che fare con una posizione avanguardista di critica e irrisione del sistema. Ma ora, che Cattelan e’ il sistema, ora che le sue opere sono commissionate ed esposte nelle maggiori istituzioni internazionali, la questione diventa imbarazzante. Questo perche’ la goliardia che le sostiene non puo’ essere parte dell’istituzione. In buona sostanza Cattelan e’ un paradosso, e come tale fa problema.
Nancy Spector, curatrice di “All” la grande mostra personale allestita al Guggenheim di New York, dichiara alla rivista FlashArt (Dicembre/Gennaio 2011/12) che per Cattelan “il sistema dell’arte e’ come il lettino dello psicoanalista, un luogo in cui potersi auto-analizzare ed esternare le proprie paure”.
Una dichiarazione che e’ in linea con il classico utilizzo della psicoanalisi come chiave di lettura delle opere d’arte ma che noi cercheremo, seguendo l’insegnamento di Lacan, di rovesciare.
L’applicazione della psicoanalisi all’estetica porta inevitabilmente a ricercare ed evidenziare gli elementi che della vita dell’artista fanno da sfondo, da materiale per la produzione dell’opera. Ed e’ a questa impostazione che il lavoro di Nancy Spector non sfugge.
L’applicazione dell’estetica alla psicoanalisi, seguendo l’insegnamento di Lacan, ci spinge invece in un’altra direzione.
Le opere di Cattelan, innanzi tutto, come possiamo leggerle? Cosa sono? Ed ancora: possono rispondere all’ipotesi di un “inconscio estetico” proposta nella presentazione della serata?
Cominciamo da questa domanda: a quale concetto psicoanalitico possono essere messe in relazione ?
La mia proposta e’ che le opere di Cattelan, che si presentano cosi’ argute, possono essere messe in relazione al witz, al motto di spirito.
Cerchero’ quindi di evidenziare come la questione del witz sia fondamentale per un primo approccio all’opera di Cattelan. Dico primo approccio perche’ parlare del witz vuol dire fare riferimento al V seminario di Lacan. Vuol dire cioe’ fare riferimento a tutta una fase di sviluppo dell’insegnamento di Lacan che porta alla formulazione del grafo del desiderio. Va da se’ che non riusciremo mai, nei limiti di questa serata, ad approfondire tutte le conseguenze della lettura incrociata che sto proponendo.
Prenderemo in esame tre famosissime installazioni di Maurizio Cattellan: “La nona ora” del 1999; “Him” del 2001 e “Now” del 2004.
Queste tre installazioni si possono leggere come una serie che sviluppa la stessa idea sovversiva di fondo. Una serie che potremmo chiamare, con un riferimento a Duchamp, riferimento che credo più che opportuno, “Le icone del XX secolo messe a nudo dai loro scapoli, anche”
Nancy Spector, la curatrice di “All”, analizza le tre opere in un capitolo del catalogo della mostra dal titolo “Dall’irriverenza all’iconoclastia” mettendo in esergo una citazione di Cattelan: “Non ho mai deciso a tavolino di fare scandalo o di provocare (…) le immagini alle volte riescono ad anticipare il futuro e forse e’ questo che scandalizza il pubblico, non riconoscersi ancora in quello che vedono”. La dubbia dichiarazione iniziale e’ smentita dal riferimento alla perturbante anticipazione che mi sembra sia la dimostrazione del preciso legame che l’artista stabilisce tra il meccanismo che sta alla base della provocazione: il Pro – Vocare, il chiamare avanti, chiamare fuori; e l’anticipazione: vale a dire fare o ottenere una cosa prima del tempo e trarne vantaggio.
L’operazione compiuta in questa serie e’ quella di una dissacrazione radicale dei simboli, positivi e negativi, del secolo: la democrazia, l’olocausto, il cattolicesimo, ma anche l’arte contemporanea, l’avanguardia e il concettuale, attraverso l’utilizzo dell’arguzia.
Ne “La nona ora” viene esaltata l’imperfettibilita’ del Papa. Pur essendo il vicario di cristo, il Papa non e’ divino, e’ un peccatore. Colpito da una pietra proveniente dal cielo richiama l’episodio della lapidazione di Maria Maddalena. Wojtila e’ un peccatore e Dio, che non puo’ peccare per definizione, scaglia la prima pietra. Lo abbatte. Lo destituisce. Lo scarica. E all’ora nona, Gesu’ con gran voce esclamo’: “Eloi, Eloi, lamma sabactani?” – “Dio mio, Dio mio, perche’ mi hai abbandonato?”
L’immagine e’ dissacrante, radicalmente anticattolica, fortemente politica. Nel suo essere a terra, colpito da una mano misteriosa, mano divina abbiamo detto, non puo’ non evocare l’attentato subito in Vaticano. Avvenimento che rientra, come tutto cio’ che riguarda la figura di sua Santita’, nella prospettiva di un disegno divino. Ricordo che si sono evocati per anni i Segreti di Fatima come possibili premonizioni di un tale gesto.
E’ proprio nella massima sintesi dell’immagine messa a punto da Cattellan che tutto cio’ si condensa ed esplode in un rivolo di possibili letture, implicazioni, interpretazioni.
A stratificarne ulteriormente la lettura intervengono le dichiarazioni dell’artista: “Non credo fosse una provocazione. Anticattolica poi. Proprio da me che sono cresciuto tra santini e chierichetti cantando nel coro della chiesa. Il Papa e’ piu’ che altro un modo per ricordarsi che il potere, qualunque potere, ha la data di scadenza, come il latte”.
Non provocazione quindi ma dissacrazione, destituzione, degradazione del potere. Potere di emanazione sovrannaturale, divina, potremmo dire ideale.
In “Him” ci troviamo di fronte ad un’altra icona del XX secolo: Hitler. Un icona estremamente negativa, ma che Cattellan ci mostra in un atteggiamento sacrale. Hitler ci e’ presentato in quella che puo’ essere considerata la navata di una grande cattedrale laica, una ex fabbrica di Stoccolma, nella classica iconografia del committente: in ginocchio, solo ed orante. Anche lui era un bravo cristiano, verrebbe da dire un povero cristo, che s’inginocchia davanti al volere divino, si prostra in atteggiamento di devozione. Fa, tutto sommato, tenerezza, cosi’ leggermente sottodimensionato, nel suo abito da scolaretto. Ci viene esibita una insospettabile dimensione umana di Hitler. Viene cioe’ esaltata la parte invisibile, nascosta, dimenticata, impensabile, che no, proprio non possiamo vedere, nell’icona del responsabile dell’olocausto. L’inventore della soluzione finale sta li’, in ginocchio, quasi a chiedere il nostro perdono. E’ un’immagine destabilizzante. Siamo davanti all’immagine dell’incarnazione del male, per usare le parole dello stesso artista, colto in un atteggiamento di pentimento del tutto inatteso se non addirittura inconcepibile. Anche in questo caso il meccanismo di condensazione trova in questa immagine una sua sintesi estrema. Estrema perche’ urtante, fastidiosa. Ma comunque anticipatrice di molti film e sceneggiati, prodotti all’inizio del nuovo millennio, incentrati sull’umanità di Hitler.
Nell’installazione “Now” e’ ancora una volta un icona del XX secolo ad essere fatta carne. Il corpo di JFK, il simbolo del sogno americano, “IL” presidente della piu’ grande democrazia al mondo, quella americana, che a partire dal suo successore scivolera’ in un sorta di oligarchia. JFK, il corpo sottratto della democrazia americana. A questo proposito va ricordato che per il corpo di JFK non fu allestita una camera ardente e il popolo americano non vide mai il suo corpo composto nella bara. Dunque anche in questo caso ci troviamo davanti a qualcosa che non si era mai visto, qualcosa che non e’ stato mostrato, rimasto celato, top secret. E ancora una volta un corpo, quello del presidente piu’ umano e amato d’america, ma un corpo che ci viene proposto nel momento della sua trasfigurazione in simbolo. Nel momento della sua disumanizzazione. L’invisibilita’ del feretro non fa che esaltare il mito di Kennedy, trasformandolo nel simbolo della democrazia, violata, della nazione.
Inoltre, il particolare dei piedi nudi della statua di Cattelan fanno dell’uomo una sorta di santo, un martire dell’idealismo americano. Anche l’idea di presentare il lavoro a Parigi, nella secentesca cappella dell’Ecole Nationale Superieure des Beaux-Arts, non va sottovalutata. I principi democratici di uguaglianza, fratellanza e liberta’ si sono irradiati nel mondo proprio a partire da Parigi, dalla sua rivoluzione. In particolare proprio negli USA, i cui padri fondatori, Jefferson in primis, si sono ispirati ai principi della rivoluzione francese. Ancora una volta la condensazione costituisce la forza dell’immagine proposta.
Il meccanismo della condensazione non e’ privilegio esclusivo del witz. Anche il sogno e’ governato da tale meccanismo. Ma le opere di Cattelan non sono sogni. Cio’ che Cattelan pone in primo piano e’ la realtà dell’immagine. Le sue installazioni sono iperreali, si presentano come rappresentazioni piu’ reali della realta’ che viviamo, ma sono anche saldamente ancorate ad un preciso codice. Oltre a creare dei collegamenti inattesi, come tutte le formazioni dell’inconscio, chiamano in causa un terzo. Cioe’ fanno chiaro riferimento ad un contesto che puo’ essere storico, sociale o estetico. Sono cioe’ dei veri e propri motti di spirito. Il divertimento che ne scaturisce nella descrizione di molte delle opere di Cattelan ne e’ indice.
Nel seminario che Lacan dedica al motto di spirito, il quinto, vengono isolati tre elementi fondamentali che costituiscono tale formazione dell’inconscio.
Il primo elemento alla base del witz e’ il gioco che si istaura tra codice e messaggio. “E’ precisamente nel viavai tra messaggio e codice, come pure nel ritorno del codice al messaggio, che si svolge quella dimensione essenziale cui il motto di spirito ci introduce direttamanete”. (Il Seminario – Libro V – pag. 15). In buona sostanza, cio’ che ci viene posto come primo elemento e’ che il witz si stacca dal ron ron del discorso vuoto che passa tra oggetto e soggetto, da quel “moulin a’ paroles” che rappresenta il discorso vuoto. E’ un momento di rottura, di sovversione. Qualcosa di inatteso si presenta.
Il secondo elemento isolato e’ che il riferimento al terzo e’ fondamentale nel motto di spirito, ed e’ cio’ che lo differenzia dal comico. E’ nella possibilita’ di fare riferimento all’Altro, al codice, che il ritorno sulla catena significante puo’ produrre un senso. “Occorre dunque che l’Altro la codifichi come battuta di spirito, che venga iscritta nel codice tramite l’intervento dell’Altro”. (Il Seminario – Libro V – pag 21)
In questo caso l’Altro e’ il mondo dell’arte che le codifica come opere d’arte, provocatorie sicuramente, in alcuni casi buffe, ma opere d’arte, contestualizzate nel discorso dell’arte.
Infine, “il terzo elemento della definizione e’ che la battuta di spirito intrattiene una certa relazione con qualcosa che si trova profondamente al livello del senso. Non dico che e’ UNA verita’ (…). Dico che e’ LA verita’.” (Il Seminario – Libro V – pag 21)
In sintesi: primo elemento: gioco tra messaggio e codice; secondo elemento: produzione di senso grazie al riferimento al codice; terzo elemento: rapporto con la verita’.
Proviamo a vedere cosa succede leggendo l’ultima delle tre installazioni di Cattelan proposte.
Primo elemento: Now, vi mostro ora il corpo morto della democrazia (messaggio) che gioca con una serie di codici: estetico, giuridico, politico, morale, etc. e non ultimo temporale. La mostra e’ del 2004, 3 anni dopo 11 settembre. Ma il riferimento alla storia dell’arte rimane centrale. La cappella scelta per l’installazione e’ quella dell’accademia di belle arti che raccoglie una collezione di copie della piu’ famose statue rinascimentali. La statua funeraria di JFK si inserisce quindi in questa serie.
Secondo elemento: creazione di senso (di piu’ sensi, uno per ogni codice utilizzato). Senso che si presenta comunque straniante in ognuno dei codici di riferimento. Vale a dire qualcosa che urta, sovverte e che porta il fruitore a codificarlo spesso come provocazione.
Terzo elemento: l’opera e’ in stretto rapporto con la verita’. Non con una verita’, cioe’ non con una verita’ per ogni senso espresso, ma con la verita’, cioe’ con cio’ che non puo’ essere detto completamente. L’immagine, sembra una sorta di memento mori di tutto cio’ che e’ andato perduto: la fede, l’ottimismo e la convinzione che gli Stati Uniti siano paladino del bene. Il riferimento enfatico al presente, il NOW del titolo, trasforma l’opera in una dichiarazione sul fallimento morale del momento. Inoltre, ancora una volta, e’ lo scavo, la destituzione del potere dell’ideale ad essere centrale.
Ma la verita’ sembra rimanere piu’ legata all’essenza del paradosso che a questa molteplicita’ di senso.
Tutto cio’, se non muove al riso, come spesso capita con le opere di Cattelan, genera sconcerto. Tutti gli elementi in gioco sono cosi’ chiari, evidenti, conosciuti ed allo stesso tempo perturbanti. Ma come ampliamento sviluppato da Freud l’allusione, lo spostamento d’accento, la figurazione indiretta sono i mezzi tecnici dell’arguzia e del motto di spirito.
Interessante sarebbe ora addentrarsi nelle implicazioni possibili di una lettura incrociata delle opere di Cattelan con il grafo del desiderio sviluppato partendo dalla struttura del witz. Pensiamo a cosa succederebbe se prendessimo in esame “Charlie”, il pupazzo con le sembianze dell’artista stesso che Cattelan ha presentato alla Biennale di Venezia del 2003. Penso a “Charlie” perche’ in esso i livelli del grafo sono facilmente riconoscibili. Dal corto circuito oggetto-soggetto insito nella autorappresentazione meccanica, al raddoppiamento dell’Altro nell’Altro dell’Altro (gioco insito tra il sistema dell’arte contemporanea e la Biennale).
Ma torniamo alla lettura dell’opera d’arte strutturata come un witz, lettura che ci conferma nell’assunto che l’opera d’arte e’ una formazione dell’inconscio. Ci sembra inoltre confermarcii che l’elemento che ne costituisce la base e che viene messo in circolo, e’ un elemento opaco, irriducibile, assolutamente refrattario ad ogni definizione esaustiva.
C’e’ da dire pero’ che l’utilizzo esclusivo dell’arguzia da parte di Cattelan, porta ad una svalutazione dell’operazione estetica. La bordatura del vuoto, che sta alla base del lavoro estetico, preserva l’enigmaticita’ dell’oggetto piccolo a. Il motto di spirito va invece in un’altra direzione. Scopre, fa vedere, indica qualcosa del nostro rapporto all’oggetto. Sta in questo il piacere che ne deriva. Ma, come ci ricorda Freud, e’ un piacere preliminare. Il piacere estetico sta altrove. L’arguzia, pur essendo intelligente, e’ legata alla contingenza e di conseguenza e’ destinata, con il tempo, a diventare una “vecchia barzelletta”.
Cosa che pero’ non sembra succedere con le opere piu’ riuscite di Cattelan, e qui sta la complessita’ della sua produzione. La condensazione di significati e la sconcertante enigmaticita’ di alcune sue opere ne esaltano la relazione con la verita’, ne esaltano cioe’ quel terzo elemento sottolineato da Lacan e che costituisce il rovescio del meccanismo di svelamento insito nella battuta di spirito. In pratica, se da una parte e’ evidente il percorso di costruzione dell’opera, quali siano gli elementi in gioco, in quale particolare relazione con l’oggetto trova la sua energia dirompente, dall’altra, la verita’ dell’opera rimane radicalmente velata.
La relazione con la verita’, terzo elemento costitutivo del motto di spirito, diviene quindi centrale.
E’in questo che puo’ risuonare l’ipotesi dell’inconscio estetico? Non ne sono sicuro.
Cosa sarebbe poi questo inconscio estetico?
Una nuova e diversa modalita’ di leggere il nostro sentire, al limite della rappresentazione, recita la presentazione della serata.
In realta’ nel campo dell’arte cio’ che abbiamo sono delle immagini, se si vuole anche delle non immagini nel caso dell’astrazione. Sono pero’ delle rappresentazioni. Il loro valore sta in questo: nel rendere presente qualcosa. Inoltre non indicano UNA modalita’ di lettura, ma al contrario, piu’ letture, piu’ approcci, piu’ possibilita’. E’ in questo del resto che risiede la loro enigmaticita’: nel presentare qualcosa in cui molti si sentono in qualche modo implicati. Vale a dire che e’ nel far balenare l’oggetto piccolo a, senza mai svelarlo, che l’operazione estetica trova la sua specificita’.
Credo invece sia piu’ interessante chiedersi perche’ delle opere cosi’ fruibili, in cui la provocazione e’ cosi’ palese, abbiano un cosi’ grande successo.
A ben vedere le operazioni di Cattelan risentono molto delle esperienze delle avanguardie storiche e delle neo avanguardie. In alcuni casi e’ la stessa idea, la stessa provocazione ripetuta.
A questo proposito mi viene in mente un’azione di Ben Vautier, artista fluxus, che negli anni ’60 tenne un concerto abbandonando il palcoscenico dopo aver appeso al leggio la scritta “I’ll be back in 10 minutes”.
Ebbene e’ la stessa provocazione che Cattelan agisce in una delle sue prime mostre personali quando ha semplicemente esposto il cartello “Torno subito”.
La ripetizione si configura quindi come un secondo giro attorno allo stesso punto di provocazione che genera pero’ un spostamento d’accento rendendo piu’ accettabile, fruibile, comprensibile l’azione.
Questo e’ chiaro ad esempio nella serie di opere in cui Cattelan prende di mira Fontana trasformando i suoi famosi tagli nella Z di Zorro.
Quello che mi sembra emergere e’ ancora una volta questa spinta all’irrisione, alla degradazione. Un’opera sublime come quella di Fontana viene ridotta ad uno scherzo e questa operazione riduce l’opera d’arte in un gadget. In fatti, i dipinti con la Z di Zorro realizzati in dimensioni e colori diversi sono stati il “prodotto” con cui Cattelan ha soddisfatto per circa sei anni le continue richieste del sistema di mercato.
La produzione di opere d’arte cosi’ fruibili ha quindi a che vedere con il Discorso del Capitalista.
In questo senso la produzione artistica contemporanea, in particolare quella di successo (o per lo meno quella qui analizzata di Cattelan), evidenzia non tanto un nuovo modo di leggere il nostro sentire ma un nuovo modo di frizione dell’opera. Un’opera che e’ sempre piu’ chiaramente legata al mercato finanziario. Vale a dire che il sapere a cui si fa riferimento per valutare e riconoscere un’opera non e’ più un sapere estetico ma un sapere economico. Questo ne spiega anche la necessita’ che l’opera sia facilmente fruibile, comprensibile, accattivante, arguta. Ed in questo Cattelan e’ sicuramente un maestro.
Le opere prodotte dall’artista padovano hanno la loro forza proprio nel condensare, nel generare un’immagine potente, evocativa, facilmente ricordabile. Un’immagine che ha molto a che vedere con l’immagine pubblicitaria.
A questo punto mi sembra di poter affermare che l’immaginario contemporaneo non produce mutamenti profondi nel modo di desiderare e godere, ma che al contrario l’immaginario contemporaneo e’ il prodotto del mutamento di discorso. Il godimento estetico risente anch’esso cioe’ della necessita’ compulsiva di consumo dell’oggetto.
Di conseguenza l’opera d’arte, l’oggetto d’arte, deve entrare perfettamente nel circuito del consumo. Non puo’ presentare e preservare una sua valenza esoterica, enigmatica, per certi versi iniziatica, ma degradarsi ad oggetto d’uso, banale, mondano, semplice e soprattutto pubblico e diffuso perche’ facilmente comprensibile.
In questo modo il paradosso Cattelan evocato all’inizio della mia esposizione si rivela funzionale al sistema. Ed e’ forse in questo che la sua opera rimane legata alla verita’. Svelandone cioe’ il paradosso che la sostiene.
Ed e’ per questo che ho pensato di titolare questo mio intervento, ritornando al witz: Cattelan il Famillionate.